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“Le otto stagioni”
by Mirko Schipilliti

Enumerare i più di duecento concerti per violino e archi di Antonio Vivaldi (1678-1741), fra i quali brilla la quadriade delle Stagioni , potrebbe sembrare a qualcuno la rappresentazione di un oceano di note entro cui l’ascoltatore messo alla prova finirebbe inevitabilmente per naufragare. In pratica una produzione enorme viene spesso considerata portatrice di un abbassato, quantomeno incostante livello artistico, sancendo così la difficoltà di mantenere in alto le scelte che portano alla nascita e allo sviluppo dell’opera d’arte, a causa di una quantità a scapito della qualità di idee. In realtà le ragioni compositive alla base di un brano musicale sono spesso oscure e insondabili.

Ogni autore si muove secondo modalità proprie, spesso difficilmente classificabili in formule o schemi. L’esito, l’efficacia e la fortuna di una composizione non possono dipendere solo da singolari idee musicali o intuizioni più o meno riconosciute (che tuttavia segnano spesso la differenza fra il genio e il grande musicista), perché non possono prescindere da quello che vi sta dietro, ossia dalla natura stessa delle idee, ciò che qualifica l’essenza di uno stile, quel particolare carattere che identifica un pezzo col suo autore prima ancora di riconoscerne la paternità grazie a qualche elemento noto (melodia, ritmo, accordo, ecc.). Lo stile sta alla base della vittoria di un’opera su un’altra, del successo o del suo insuccesso, al di là della quantità di lavori in cui si manifesta.

Astor Piazzolla stesso a chi lo accusava di aver scritto duemila volte lo stesso brano rispondeva: “Si confonde opera con stile”. Del resto ogni autore si adegua sia alle circostanze, sia a propri processi ideativi: così Beethoven si limitò per esempio a nove sinfonie, a cinque concerti per pianoforte e orchestra, pur scrivendo ben trentadue sonate per pianoforte; Mozart di sinfonie ne compose più di cinquanta (iniziò a scriverle a otto anni), di concerti per pianoforte una trentina, mentre ventidue furono le sonate per questo strumento.

Portatori di un colore strumentale inconfondibile, i numerosi concerti per violino di Vivaldi si svilupparono a partire dal 1711 circa, evolvendosi con coerenza stilistica e varietà di idee entro schemi ricorrenti, suscitando l’interesse di J.S.Bach che ne trascrisse alcuni per organo e per cembalo. Rispondono non solo a opportunità esecutive e all’attività violinistica dell’autore, ma anche a più o meno precise esigenze creative. È possibile infatti raccoglierli in due gruppi fondamentali: concerti senza e con denominazione, questi ultimi (nei quali includiamo le Stagioni ) a loro volta divisibili in sottogruppi secondo le tematiche cui si riferiscono.

Tradizionalmente si distinguono concerti dedicati a personalità (“Per Gioseppino Biancardi” RV 502), ispirati a luoghi od occasioni (“Per la Solennità della S.Lingua di S.Antonio in Padova 1712” RV 212, “Il riposo”, “Per il Santissimo Natale”, RV 270, “Per la solennità di S.Lorenzo”, RV 286), legati alla tecnica violinistica (“L’ottavina” RV 763, “Senza cantin” RV 243) o a immagini naturalistico-onomatopeico (“Il gardellino” RV 428, “Il cucù” RV335, “Il corneto de posta” RV 363), a stati d’animo (“L’amoroso” RV271, “L’Inquietudine” RV 234, “Il sospetto” RV 199, “Il ritiro” RV 256 e 249), ad allusioni strane (“Amato bene” RV 761, “Grosso Mogul” RV 208). Non dimentichiamo anche i titoli che accompagnano altri concerti solistici come “La notte” RV 501 per fagotto, “La tempesta di mare” RV 433 per flauto, “Il Proteo ossia il mondo al rovescio” RV 544 per violino e violoncello, “Alla Rustica” RV 151 e “Al Santo Sepolcro” RV 169 per archi, nonché quelli di alcune raccolte: “L’Estro armonico” op.3, “La stravaganza” op.4, “La cetra” op.9, “Il cimento dell’armonia e dell’invenzione” op.8, da cui sono tratte Le Quattro stagioni.

Sono proprio le Stagioni a costituire i pressoché unici esempi di concerti autenticamente a programma composti da Vivaldi, se non altro per il riferimento esplicito a quattro “Sonetti dimostrativi” che accompagnavano nel 1725 la prima edizione delle Stagioni , versi la cui paternità vivaldiana non è accertata, aggiunti sicuramente dopo la composizione delle musiche in occasione della loro pubblicazione. I sonetti – uno per ogni stagione – si riferiscono a precise sezioni della partitura, con corrispondenze stupefacenti tra immagini e musica, correlazioni da cui non è possibile prescindere per un’interpretazione autentica, inducendo Marco Tezza ad affiancarne la lettura all’esecuzione musicale. Il mondo delle immagini si configura all’interno del cosmo vivaldiano non solo legandosi a scelte d’effetto (base dei suggestivi titoli visti sopra), ma anche perché inscritto nell’importanza che il teatro musicale ebbe per Vivaldi, prolifico anche in questo genere: “Sono 94 i drammi da me composti” scrisse l’autore al marchese Guido Bentivoglio d’Aragona nel 1739. Di opere ne sono state identificate 45, fra cui 16 complete e 4 quasi complete, nonostante tale corpus rimanga ancora praticamente sconosciuto. Il legame con questo repertorio spinse Vivaldi a utilizzare la prima sezione dell’Allegro iniziale della Primavera nella sinfonia d’apertura dell’opera “Dorilla in Tempe”, secondo un procedimento di manipolazione tipico dell’epoca (la cosiddetta “parodia”). Tuttavia il descrittivismo strumentale messo in opera nelle Stagioni risponde a necessità compositive che trovano nell’orchestrazione un punto di forza prima ancora di qualunque motivazione extramusicale, segnando il peso che le scelte e le combinazioni di strumenti dovevano assumere in una partitura con un organico di soli archi: l’omogeneità acustica del complesso non impedisce infatti a Vivaldi di ottenere infinite gamme timbriche.

L’imitazione della natura costituiva una pratica musicale diffusa nel ‘700 (si pensi al repertorio clavicembalistico di Rameau), e colpire la fantasia degli ascoltatori era sì un obiettivo possibile offrendo loro un canovaccio narrativo, ma in definitiva è proprio l’impostazione globale cui le Stagioni fanno riferimento che nel titolo della raccolta che le include – Il Cimento dell’armonia e dell’invenzione – esprime un’idea di sfida, richiamo ad artifici tecnici e a preziose risorse compositive di maturo e completo artigianato per realizzare progetti musicali arditi. Il colorismo orchestrale non vuole essere didascalico e superficiale, ma si costruisce capillarmente secondo scelte poetiche oculate: spesso la partitura riesce a stratificarsi in linee melodiche ognuna con preciso “carattere” (celebre l’esempio del Largo della Primavera dove il solista allude al capraio che dorme, i violini dell’orchestra al fruscio delle foglie e la viola all’abbaiare del cane), mentre i riferimenti non vanno solo a immagini esteriori (il temporale, gli uccelli, i venti) ma anche a dinamiche interiori (il sonno, il “Passar’ al foco dì quieti e contenti mentre la pioggia fuor bagna ben cento”). Altri autori si ispirarono alla tematica delle stagioni: nel 1661 Lully aveva composto il balletto “Le stagioni”, e così via sotto lo stesso titolo Haydn scrisse un oratorio, Ciaikovskij una serie di pezzi pianistici, Glazunov e Cage dei balletti, e Astor Piazzolla (1921-1992) le sue Quattro stagioni porteñe.

Composte tra il 1965 e il 1970 le Cuatro Estaciones rappresentano uno dei migliori esempi dell’incontro fra tango e tradizione musicale colta, operazione e mediazione artistica attraverso cui Piazzolla poteva affermare “Il mio tango incontra il presente”. Il tango di Piazzola esce dai canoni delle consuetudini coreografiche, evolvendosi in prospettive stilistiche che lo trasformano in musica da ascoltare e non da ballare. Elaborato formalmente e strumentalmente, raccoglie le esperienze di studio approfondito della composizione musicale che Piazzolla visse negli anni giovanili, costruendo brani dove i confini tra intuizioni di danza e musica pura diventano impalpabili.

Le Estaciones sono “porteñe” perché il tango delle origini è “porteño” ossia nato nel porto, quello di Buenos Aires, zona di scambi culturali, ambiente nativo da cui il tango si sviluppa come processo di intercultura per gli influssi internazionali che finisce per raccogliere: le danze ispaniche, sudamericane e africane; il bandòneon di origine tedesca; il melodismo acceso che trova nelle generazioni dei grandi autori di tango argentino – Fiorentino, Firpo, Fresedo, De Caro, D’Arienzo, Pugliese, D’Agostino, Piazzolla – precise ascendenze italiane, ai confini con la canzone napoletana. Il riferimento stesso alla frequentata tematica delle stagioni è esso stesso operazione di interscambio, traducendo nel titolo un pretesto artistico per affrontare colori, ritmi e strutture rappresentanti un saggio completo ed esauriente dello stile di uno degli autori più inclassificabili del Novecento.

Piazzolla cura le sfacettature della composizione musicale a partire dalla strumentazione (la versione di Tezza sostituisce l’inseparabile bandoneón di Piazzolla con il pianoforte e aggiunge alcune cadenze libere realizzate su musiche dell’autore) stabilendo nel gruppo da camera i migliori equilibri, dando il giusto peso a ogni componente. Il materiale tematico è lirico ma allo stesso tempo angoloso, celando un’aggressività che identifica il tango come “musica di rabbia”, mentre il lirismo di certi temi si nasconde dietro un impianto elaborato con strutture ardite e d’avanguardia: l’uso delle dissonanze e del contrappunto e fuga (più linee melodiche indipendenti sovrapposte) è l’elemento dominante della rottura con la tradizione (un canone apre Primavera porteña , mentre in Otono Porteño troviamo un’allusione al celebre canone di Pachelbel). Ne risulta una scelta di accordi e armonie talvolta complessi, scivolanti impercettibilmente verso regioni tonali inaspettate, entro ritmi irregolari (molto usato il 3+3+2 d’origine ebraica) con accentuazioni inattese e tempi rubati, in forme frequentemente tripartie (A-B-A, spesso nelle sezioni veloce-lento-veloce).

Dolcezza e aggressività convivono entro un carattere generale di grandi sbalzi d’umore, tinte forti fra due antipodi: il mondo poetico, soffuso e indistinto contrapposto al mondo della rottura, della reazione, ossessionato dalla ripetizione di moduli musicali identici. Ma il segreto di Piazzolla sta forse in un messaggio più nascosto, intimo, al di là di questioni formali, colte o meno colte, più o meno popolari. Difficile collocare Piazzolla in correnti precostituite, la sua musica è incatalogabile. In questo conferma le tendenze del Novecento musicale, privo di una scuola dominante, destinato a vivere tante vite quante quelle dei suoi compositori, ognuno unico. L’intreccio fra tradizioni colte, “classiche”, popolarità del tango e ricerca di nuove formule musicali rappresenta in Piazzolla una via per compensare la drastica scissione novecentesca tra pubblico e compositori, in uno stile inconfondibile. Appena sentiamo Piazzolla, non possiamo non dire “è Piazzolla”: “Se la mia musica è più elaborata, se è difficile al primo ascolto, ebbene, per tutto ciò mi sono rotto l’anima studiando. Cento volte ho sbattuto contro il muro e cento mi sono rialzato. Per questo sono Astor Piazzolla”.

JOHANNES BRAHMS // PIANO SONATA f-moll Op.5 (Studio recording)
  1. JOHANNES BRAHMS // PIANO SONATA f-moll Op.5 (Studio recording)
  2. EDVARD GRIEG // ​“AUS HOLBERGS ZEIT” SUITE for strings Op.40 (Live recording – Sofia, Bulgaria Hall)
  3. ROBERT SCHUMANN // ALBUM FÜR DIE JUGEND Op.68 – WORLD FIRST COMPLETE RECORDING Zweite Abteilung – Für Erwachsenere
  4. FRYDERYK CHOPIN // ETUDE c-moll Op.10 N°12 (Studio recording)
  5. GIACOMO PUCCINI // “CRISANTEMI” for strings (Live recording – Belo Horizonte)
  6. ASTOR PIAZZOLLA // “ADIOS NONINO” – Arranged by TrisTango (Studio recording)
  7. PETER ILYICH TCHAIKOVSKY // SERENADE for strings C-Dur Op.48 (Live recording – Lebeanon TV)
  8. JOHANN SEBASTIAN BACH / ALEXANDER SILOTI // PRELUDE h-moll (Live recording – Geneve, Château de Coppet)
  9. WOLFGANG AMADEUS MOZART // ADAGIO AND FUGUE for strings c-moll KV 546 (Live recording – Padova, Pollini Auditorium)
  10. JOHANNES BRAHMS // UNGARISCHER TANZ g-moll (Live recording – St. Wendel)